A Natale puoi... recita il tormentone di una pubblicità che da anni mi suona nelle orecchie (beh, significa che come tormentone è azzeccato) ma non mi ero mai soffermata a pensare.
Ammetto che sono affetta da pregiudizio: tutto ciò che ha a che fare con il "panettone natalizio" e con il volto ultraconsumistico dello stesso, mi rivolta un pò. Per difendermi dall'imperversare di immagini patitnate di cori di bambini riccioli con sciarpetta rossa o di case che non pagano la bolletta, penso io, tanto sono illuminate a festa mentre le tavole, imbandite fino all'inverosimile, accolgono famiglie numerosissime (tutte fotogeniche, eh) felici e innamorate, spengo la mente. Si, avete capito bene, la spengo e accendo l'immaginazione e i ricordi.
Così mi capita di pensare al Natale di mio nonno, quando ai bambini si regalavano mandarini e noci e la mamma tirava fuori dalle zampe magre della sventurata pollastrella, il brodo per 12 (si, la tavola era sempre apparecchiata per lo stesso numero di commensali quanti erano gli apostoli, avete capito bene). Si frugava nel baule del corredo delle nonne per trovare una tovaglia, rigorosamente ricamata a mano da una trisavola, che restituisse alla tavola il tono cerimoniale della feste importanti. Mentre i vecchi parlavano sorseggiando del vino (che spesso non era gran che ma del resto era il migliore che avessero prodotto, chini tra quei pochi filari di vigna, per cui al palato suonava meglio di uno Chateau Lafite Rotschild), i bambini si dilettavano a improvvisare improbabili velieri con i gusci delle noci che facevano parte del prezioso bottino natalizio. Il tempo sembrava sospeso in quei giorni di festa che segnavano una tregua dal pesante lavoro nei campi e, anche se per poco, la vita sembrava più lieve e persino i gesti degli adulti, sempre curvi sui loro crucci, si ammorbidivano esplodendo, improvvisi, in impacciati buffetti sulle guance.
In questo susseguirsi rapido di immagini e ricordi, mi sono sempre rifugiata volentieri ma per una volta, quest'anno, non ne ho sentito il bisogno perché il mio Natale, finalmente, mi è sembrato sensato.
Una tavola sobriamente imbandita a festa, un pranzo appetitoso ma ragionevole nelle quantità, e per regalo un tempo inatteso e insperato per parlare e sciogliere tensioni lungamente trattenute, con mio padre. Un confronto a cuore aperto con una persona della quale, nel bene e nel male, è intessuto il mio DNA e che relegare nello scantinato del non detto, del rimandato, del non voglio, mi è costato anni di infruttuosa ricerca di me stessa. Del resto un albero, privo delle sue radici, è impensabile che possa stendere i suoi rami al cielo.
Un Natale, il mio, che mi ha fatto riscoprire il piacere di giocare con mia figlia senza l'assillo del "ma i compiti li hai fatti?" "tra mezz'ora devi andare a pallavolo" oppure l'ever green, "alzati che fai tardi a scuola". Un Natale di sola essenza, nel senso più profondo del termine, cioè di ciò che costituisce la sostanza propria di una cosa, trascorso a cercare radici ma anche linfa per far crescere i rami giovani. E' così che ho capito che a Natale puoi, andare contro i dettami classici che ci vogliono tutti (infelici e forzati) attorno a una tavola chilometrica, a rimpinzarci di leccornie che in realtà ormai sono disponibili ogni giorno, quindi dove è il senso della festa?
Vi dirò di più, penso con ragionevole margine di certezza, che in realtà questo impegno possa accompagnarci tutti i giorni dell'anno e che il Natale possa aiutarci a celebrarne i frutti, consacrando con i nostri affetti più sinceri, il significato profondo della nostra ricerca interiore.
Ecco, con tutte queste dovute premesse e proprio ora che guarda caso è passato, adesso dicevo, sono pronta a augurarlo a tutti e a cuore aperto: Buon non Natale a tutti :)
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