sabato 29 dicembre 2012

Come si saluta un WOW-anno?

Proprio ora che si avvicinano le ultime ore dell'anno, passo in rassegna i volti, le voci, le strette di mano, i silenzi e le risate che mi hanno tenuta per mano. Strano, è come sentire che improvvisamente la stanza è affollata, non tanto di persone, quanto di affetti, piccole epifanie, momenti di senso.

Questo è l'incip, o forse la conclusione di quanto ho nel cuore.

Il 2012 è stato un anno denso. Accipicchia, a pensarci adesso direi che di anni densi, intensi, a tratti interminabili, ne ho vissuti molti, ultimamente, e comunque, dicevo, il 2012 è stato "tosto".
Aiuto la mia mente poco razionale e poco avvezza (anzi, recalcitrante, direi) a sistematizzare anni di turbolenti cambiamenti, e lo faccio stilando elenchi. Che buffo, così facendo mi sembra di essere più obiettiva, di non lasciarmi impastare dalle emozioni, di mantenere uno sguardo limpido sulle cose (ovviamente sto mentendo a me stessa, mi sto convincendo che questo sia possibile e, soprattutto, che serva a qualcosa).
Fatto il dovuto silenzio nella mia testa e cercato quel momento di quiete che fa affiorare i pensieri puliti dal groviglio del sentire, direi che il 2012 è stato un WOW-anno.


Lo so, chi mi conosce un pò e ha seguito le mie vicissitudini, si starà grattando nervosamente la testa, stropiccinadosi gli occhi e bevendo qualcosa di forte (gli astemi, invece, se la prenderanno con un bel pezzo di cioccolata). Il 2012 è stato WOW, perché non ho avuto paura di guardare la paura fino infondo, dritta negli occhi  - che poi sono i miei, perché le paure sono nostre proiezioni. Se nel 2010 ho dato una poderosa rassettata alla mia vita, trovando il coraggio di dire cosa funzionava - all'epoca, probabilmente, poco, ma del resto, senza deragliamenti, non potremmo apprezzare la meraviglia di un viaggio -  nel 2012 ho dato seguito alle mie scelte, inizando a sentirmi nel vero senso della parola e a dare concretezza ai miei bisogni.
Potrei sintetizzare questi due anni di cui parlo, dicendo che il primo, il 2010, è stato l'anno del dire, mentre questo, quello del fare; di mezzo, ovvio, c'è stato il mare: quello cristallino dell'isola che mi fa da casa da 15 anni e che è diventato una parte di me.
E allora, visto che siamo in tema di fare, vediamo nello specifico cosa ho fatto:
  • In primo luogo ho fatto chiarezza e per raggiungerla con gli altri, si torna sempre lì, l'ho fatta dentro di me. Questo ha implicato che mi riconoscessi meno infallibile e all'altezza di una qualsivoglia aspettativa, come ero stata brava a raccontarmi per una vita
  • La conseguenza logica del punto uno, è stato il chiarirmi con gli altri, ridefinire i ruoli, le responsabilità, le  aspettative che è lecito ricadano su di me e quelle che invece - mi spiace tanto - ma non sono alla mia portata
  • Per poter sperare di avvicinarmi a realizzare il punto due, ho dovuto fare un entusiasmante esercizio di definizione degli spazi. Il "qui finisco io e là iniziano gli altri", mi ha regalato l'inebriante sensazione che si, anche io posso dire di no: nessuno ne muore e io ne guadagno in salute.
  • Nel mentre che facevo chiarezza dentro di me, capivo che i luoghi li fanno le persone e che le relazioni che vanno costituendosi, realizzano un intreccio di emozioni, storie condivise e racconti di vita, che definiscono i contorni di uno spazio, quello interiore, che non teme traslochi, distanza fisica, trascorrere del tempo: in qualsiasi momento io posso raggiungere quelle persone e quelle emozioni che fanno ormai parte di me.
  • A corollario di quanto scritto, e per quella chiarezza a me dovuta, ho capito che se si concretizzeranno le condizioni perchè io resti  all'isola d'Elba a continuare a occuparmi di una casa che non è un albergo che si chiama Hotel Cernia, sarò estremamente felice di farlo ma che se, viceversa, questo non dovesse essere più possibile proprio in virtù di quel ridefinirsi di ruoli, esigenze e situazioni, saluterò con un bell'inchino e tanta gratitudine una intensa e lunga pagina della mia vita, per scriverne una tutta nuova, senza abbandonare le persone che l'hanno resa unica.
Last but not least, ringrazio quindi:

  • La mia insaziabile curiosità, che ha mantenuto viva la voglia di scoprire, di conoscere, di viaggiare con la mente, in anni in cui le pastoie emotive mi tenevano bloccata
  • L'istinto materno, che ha calmato la mia impulsività e il mio innato ardore e che mi ha tenuta sull'isola, in momenti nei quali, probabilmente, fossi stata sola, ne sarei fuggita. Questo stesso istinto è quello che oggi mi fa guardare con gratitudine a tutto ciò che sono riuscita a seminare, nonostante tutto ma, anzi,  probabilmente proprio grazie alle difficoltà.
  • La rete di relazioni, sottile, quanto forte, invisibile quanto presente, che in questi anni è nata, proprio grazie a quel meraviglioso albergo nel quale fioriscono più che piante, rapporti straordinari, e che sempre viaggerà con me.
Proprio ora che si avvicinano le ultime ore dell'anno, passo in rassegna i volti, le voci, le strette di mano, i silenzi e le risate che mi hanno tenuta per mano. Strano, è come sentire che improvvisamente la stanza è affollata, non tanto di persone, quanto di affetti, piccole epifanie, momenti di senso.

E, credetemi, di momenti di senso ne ho vissuti davvero tanti, per questo sono felice di salutare questo bellissimo e importantissimo WOW - anno!



venerdì 28 dicembre 2012

Per due cose impara a non agitarti

Oggi ho capito che ci sono posti che fanno bene al cuore.
Posti che, quando ne varchi la soglia, sei pervaso da una forte energia positiva, quasi tu fossi appena uscito da una seduta di yoga, posti che ti rimettono a posto, che ti fanno guardare al mondo nella giusta prospettiva, che quando ci sei, ci sei sempre stata e il prima e il dopo non hanno senso di esistere.
Uno di questi, per me, è a Pistoia e si chiama Arcanami.


Ogni volta che ci vado, e sono anni che lo frequento, mi incanto, mi emoziono, torno a casa inebriata.
Uno dei cartelli all'entrata di questo piccolo spazio affettuoso, recita "entrate liberi, uscite contenti" (quale migliore augurio per una raminga come me) e fa intuire la filosofia di vita con cui Consuelo, la padrona di casa, gestisce la sua laboratozeria. 


Al suo interno, una collezione variopinta di opere prevalentemente ceramiche, libri, lanterne, bottoni magici, tuffatori, gufi, gomitoli di lana in barattolo (per quando si perde il filo) e un grande albero ad accogliere ogni mese un artista diverso tra le sue fronde chiare. 






Fanno da cornice a questo spazio incantato i quadri di Consuelo: tele di varie forme e dimensioni sulle quali restano intrappolati i suoi segni - a testimoniare una continua ricerca proiettata all'essenza delle cose - tant'è che l'individuo (spesso e non a caso solo) si riduce a un segno verticale su un'orizzonte, prevalentemente orizzontale. Spesso il suo "uno" si trasforma in sognante trapezista che vive sospeso tra due mondi, oppure in pavido esploratore (di sé,  ça va sans dire)  che tenta improbabili conquiste di fortezze inespugnabili con strettissime e lunghissime scale, munito, oltre che del suo coraggio, di un lunghissimo filo al quale tiene legata  a mò di palloncino, la luna, o una chiave (di volta, direi, conoscendo l'autrice) per alleviare un percorso  che mescola il reale all'onirico con singolare dolcezza. 


Il segno di Consuelo si fonde a parole, citazioni, frasi, morsi di lettura che le sono piaciuti e tra i quali, proprio oggi, ho scoperto che sì, la mia anima gemella esiste e si chiama Astolfo :).
Si, lo so, il nome è tutto un programma ma come non innamorarsene!


La casa di Consuelo fa bene al cuore, dicevo,  perchè è calda e ospitale, profuma di affetto e gesti felici, colleziona morsi di bellezza, pennellate di poetico vivere, non risparmia momenti di riflessione a chi, sentitosi libero di entrare, ne respira la ricerca dell'essenza che è tutt'altro che semplice perché richiede un costante ascolto, una coraggiosa ricerca mai paga di sé attraverso le pieghe più nascoste del nostro sentire, perchè solo chi ha amato le stelle troppo profondamente, riesce a non avere paura del buio (chi lo disse? quel geniaccio di Galileo, mi pare, e lui di stelle se ne intendeva!).
Andare da Arcanami, per me significa spogliarmi dei crucci e dei piccoli incidenti di percorso e tronare all'essenza, liberarmi del superfluo, fare spazio dentro di me, cercare il momento di quiete che restituisce ordine e giusto peso alle cose e soprattutto significa abbracciare un'amica, una sorella, una compagna di viaggio con cui ho condiviso molti momenti, molti silenzi, molte paure e molti progetti e che con sorprendente sincronicità negli accadimenti vicendevoli, ritrovo spesso vicina di percorso nonostante in apparenza le nostre vie siano molto distanti geograficamente e non solo.
Quando vado da Consuelo, non manco di ricordare che:




Se aveste voglia di conoscerla, la trovate a Pistoia in Via Cellesi, proprio dietro al delizioso mercato in Piazza della Sala ma non ditele che vi mando io: potrebbe sgranare gli occhi, aprirsi in un larghissimo sorriso e sbrillucciacare tutta!


mercoledì 26 dicembre 2012

Ne devo eliminare quattro, di maschi!


Mentre mi godo pienamente questo pomeriggio di ordinario tepore casalingo, mentre fuori imperversa l'uggia novembrina, (si, lo so, è dicembre ma che ci posso fare se oggi sembra una tipica giornata umidiccia e piovosetta di novembre?); mentre me ne sto quieta davanti al fuoco a leggere, dicevo, una vocetta mi distoglie dalla lettura. "Ne devo eliminare quattro, di maschi" e poi: "no, vabbè ma sull'albero di Natale i maschi no e poi 'sti caproni, uffa basta".
Incredula e basita, mi volto lentamente senza esser notata,  e vedo mia figlia intenta a giocare da sola sul tavolo di cucina. No, a dire il vero non è da sola perché nel giro di 10 minuti è riuscita a radunare una quantità impressionante di gufi, alci, tartarughe, angioletti e piccole amenità da comodino, organizzando la flotta in veri e propri girotondi tematici (prevalentemente il criterio di scelta si orienta alle razze animali, evitando se possibile gli incorci). Mentre canticchia "la casa delle femmine è più bella sai, perché hanno più gusto, si sa" e rincara esclamando: "la casa dei maschi è fatta a casaccio, mica san fare le cose yeh", da madre mi chiedo se non abbia calcato troppo la mano con letture femminili e se non c'entri qualcosa la pubblicità dei rotoloni Regina (che mia figlia adora e guarda e riguarda a ripetizione)  che ritrae un principe cialtrone e inconcludente che anzichè leggere il messaggio della sua bella, si bea della morbidezza della carta igienica.

Nel dubbio, son sincera, me la rido un pò e fatico a tornare alla mia lettura senza che i suoi gorgheggi non mi distolgano l'attenzione e mi compiaccio davvero molto della capacità, prevalentemente infantile, di creare incanto e mondi immaginari in men che non si dica e a partire da quello che si ha a disposizione. Detto ciò, che resti tra noi, non invidio il ragazzino che avrà la sventura di incontrarla!

A Natale puoi. Ma che significa?

A Natale puoi... recita il tormentone di una pubblicità che da anni mi suona nelle orecchie (beh, significa che come tormentone è azzeccato) ma non mi ero mai soffermata a pensare.
Ammetto che sono affetta da pregiudizio: tutto ciò che ha a che fare con il "panettone natalizio" e con il volto ultraconsumistico dello stesso, mi rivolta un pò. Per difendermi dall'imperversare di immagini patitnate di cori di bambini riccioli con sciarpetta rossa o di case che non pagano la bolletta, penso io, tanto sono illuminate a festa mentre le tavole, imbandite fino all'inverosimile, accolgono famiglie numerosissime (tutte fotogeniche, eh) felici e innamorate, spengo la mente. Si, avete capito bene, la spengo e accendo l'immaginazione e i ricordi.


Così mi capita di pensare al Natale di mio nonno, quando ai bambini si regalavano mandarini e noci e la mamma tirava fuori dalle zampe magre della sventurata pollastrella, il brodo per 12 (si, la tavola era sempre apparecchiata per lo stesso numero di commensali quanti erano gli apostoli, avete capito bene). Si frugava nel baule del corredo delle nonne per trovare una tovaglia, rigorosamente ricamata a mano da una trisavola, che restituisse alla tavola il tono cerimoniale della feste importanti. Mentre i vecchi parlavano sorseggiando del vino (che spesso non era gran che ma del resto era il migliore che avessero prodotto, chini tra quei pochi filari di vigna, per cui al palato suonava meglio di uno Chateau Lafite Rotschild), i bambini si dilettavano a improvvisare improbabili velieri con i gusci delle noci che facevano parte del prezioso bottino natalizio. Il tempo sembrava sospeso in quei giorni di festa che segnavano una tregua dal pesante lavoro nei campi e, anche se per poco, la vita sembrava più lieve e persino i gesti degli adulti, sempre curvi sui loro crucci, si ammorbidivano esplodendo, improvvisi, in impacciati buffetti sulle guance.
In questo susseguirsi rapido di immagini e ricordi, mi sono sempre rifugiata volentieri ma per una volta, quest'anno, non ne ho sentito il bisogno perché il mio Natale, finalmente, mi è sembrato sensato. 
Una tavola sobriamente imbandita a festa, un pranzo appetitoso ma ragionevole nelle quantità, e per regalo un tempo inatteso e insperato per parlare e sciogliere tensioni lungamente trattenute, con mio padre. Un confronto a cuore aperto con una persona della quale, nel bene e nel male, è intessuto il mio DNA e che relegare nello scantinato del non detto, del rimandato, del non voglio, mi è costato anni di infruttuosa ricerca di me stessa. Del resto un albero, privo delle sue radici, è impensabile che possa stendere i suoi rami al cielo.


Un Natale, il mio, che mi ha fatto riscoprire il piacere di giocare con mia figlia senza l'assillo del "ma i compiti li hai fatti?" "tra mezz'ora devi andare a pallavolo" oppure l'ever green, "alzati che fai tardi a scuola". Un Natale di sola essenza, nel senso più profondo del termine, cioè di ciò che costituisce la sostanza propria di una cosa, trascorso a cercare radici ma anche linfa per far crescere i rami giovani. E' così che ho capito che a Natale puoi, andare contro i dettami classici che ci vogliono tutti (infelici e forzati) attorno a una tavola chilometrica, a rimpinzarci di leccornie che in realtà ormai sono disponibili ogni giorno, quindi dove è il senso della festa?
Vi dirò di più, penso con ragionevole margine di certezza, che in realtà questo impegno possa accompagnarci tutti i giorni dell'anno e che il Natale possa aiutarci a celebrarne i frutti, consacrando con i nostri affetti più sinceri, il significato profondo della nostra ricerca interiore.
Ecco, con tutte queste dovute premesse e proprio ora che guarda caso è passato, adesso dicevo, sono pronta a augurarlo a tutti e a cuore aperto: Buon non Natale a tutti :)

domenica 23 dicembre 2012

E se bastasse non fare assolutamente niente?


E' potente, il fuoco.
E' un richiamo antico, emerge dalle nebbie dei ricordi, si insinua nel tuo adesso e sussurra storie. Capisco perché ci si riunisse a "veglia" attorno al camino, a raccontarsi storie, prima che l'arrivo di una tivvù in ogni casa scompaginasse questa abitudine, e mi piace pensare a tutte le volte che mi svegliavo presto, a casa, per godere del tepore del fuoco che mia mamma accendeva all'alba, in completa solitudine. Quell'abitudine vive dentro di me. Più che l'abitudine (a casa mia non ho il camino, sarebbe dura farla sopravvivere) continua a essere presente in me quell'attitudine solitaria, che si compiace dei momenti di silenzioso ascoltare, interrotti da una lettura piacevole o un semplice sguardo fuori dalla finestra. In questi giorni di fine anno, più che mai  mi piace dare libero sfogo a questa indole riflessiva e mi compiaccio nell'osservare quante cose inutili al viaggio siamo capaci di collezionare dentro di noi. Avete presente il trasloco di una casa? Il momento preciso in cui si aprono gli armadi per riempire gli scatoloni delle cose in essi contenuti, e si realizza improvvisamente che negli anni siamo stati in grado di collezionare una quantità spaventosa di roba inutile, che neanche immaginavamo di avere immagazzinato? Credo che da un giro nei cassonetti, si sia in grado di capire se in zona qualcuno sta traslocando. Ebbene, la sensazione che ho dentro di me in questi giorni di fine anno, è la medesima. Mi accorgo cioè, nello stare quieta con me stessa, che spontaneamente mi libero di molti orpelli, di tanto inatteso superfluo collezionato durante il percorso. Mi rendo  conto che davvero basta poco e che le risposte (qualora ci si aspetti di ottenerle) sono custodite dentro di noi e non nei rapporti che si vanno costruendo. In quest'ottica, non solo si ridimensione quel carico di aspettative (spesso schiacciante) nei confronti di chi incrociamo, ma si sperimenta la possibilità di affinare sguardi altri su quanto ci circonda, esprimendo un'atteggiamento più volitivo su una realtà che, a conti fatti, siamo noi a creare con i nostri pensieri e il nostro sentire.
Mentre imperversano Auguri di ogni bene e immagini di prosperità innevata, sento in cuor mio il bisogno di prolungare questo spazio di silenzio per fare spazio, allargare il respiro, prepararmi a sguardi nuovi e a prospettive inattese. Del resto lo diceva anche Eddie Vedder che l'essenza dello spirito dell'uomo sta nelle nuove esperienze, e immagino sia questo l'augurio che in cuor mio sento di fare a chiunque si senta pronto per un cambiamento radicale. Non temete, non occorre fare niente in realtà: è sufficiente smettere di opporre resistenza a ciò di cui ci viene quotidianamente proposto di fare esperienza. Tutto qua!

giovedì 20 dicembre 2012

Zitta mai, eh!?

Ci avrei scommesso. Si, insomma, ho appena anticipato sulla mia pagina facebook che avrei prima o poi scritto un post sul "facebook che vorrei" e fulminea mi è salita la voglia di farlo subito e di dare voce ai miei pensieri.

A  innescare la voglia di dire la mia, l'ennesimo invito (non esagero, il sedicesimo di questa mattinata) a un evento organizzato da non so chi, non ho ben capito dove e nemmeno di cosa si tratti. La volete la mia opinione? Facebook offre un servizio carino per far sapere in modo veloce e pratico cosa succede e dove ai proprio amici, o comunque alle persone potenzialmente interessate, attraverso la creazione di "Eventi" ai quali è possibile invitare i propri amici e poi succede che, come tutte le cose, a fare la differenza sono sempre le persone e la sensibilità con la quale si avvalgono di questi strumenti che facilmente dall' esser divertenti, diventano fastidiosi, invasivi, tendenzialmente pericolosi perché finiscono con lo svilire il concetto di utlità che li ha originati.
Un problema analogo a questo è l'utilizzo arbitrario del tag così come della condivisione sulla timeline di un amico. Accade che spesso io riceva tag interessanti, pertinenti che mi fa davvero piacere ricevere e che non fanno altro che consolidare il "senso di appartenenza" social. Accade però anche che a volte io mi veda taggata o che trovi condivisi in bacheca link che a dir poco ci azzeccano niente con me e mi viene spontaneo chiermi quale sia il ragionamento che ha originato un simile impulso alla condivisione.
Credo che a questo punto si debba fare un passo indietro, per capire quale è la molla che fa scattare questi atteggiamenti che, a mio parere, in entrambi i casi sono collegati al concetto di visibilità.
Fino a qualche anno fa, ricordo che questa era la parola chiave per qualunque azienda volesse sperare di fare la differenza nel mondo del web. Il cruccio di qualunque imprenditore (ok, adesso faccio l'albergatrice per qualche minuto, eh) è sempre stato quello di pensare: ma se l'universo internet è così sconfinato, come farò io a far si che la mia piccola azienda sia visibile? La risposta la cercavamo nelle parole chiave pertinenti, in una indicizzazione che regalasse nuove opportunità mentre imperversava la guerra dei banner e dei pay per click.
Poi è arrivata la rivoluzione dei social e improvvisamente i contenuti sono diventati importanti, al punto che si è cominciato a pensare che anziché focalizzare i nostri sforzi (mai paghi per la verità) per essere visibili, affinché le persone ci raggiungessero, avremmo dovuto inziare a muoverci noi e a crecare quei luoghi dell'online in cui si parlava di noi o di argomenti affini, cercando attraverso l'ascolto, di capire quali fossero le reali esigenze di mercato attraverso i contenuti,  trasformando così il concetto di visibilità in quello di condivisibilità. State attenti a questo passaggio fondamentale: trattasi di rivoluzione culturale bella e buona, destinata a cambiare per sempre il nostro modo di vedere, agire e soprattutto di interagire.
Quello che a me pare di intuire ogni volta che sulla mia timeline fioriscono contenuti lontani da me o che vengo invitata a eventi ai quali (mio malgrado) è evidente che non potrò partecipare, è che si stia ancora pensando alla visibilità e non si sia preso atto della rivoluzione di cui sopra e si stia facendo un utilizzo errato dei social. Ogni volta che mi vedo taggata erroneamente (non me ne vogliano i miei social amici) è come se vedessi spuntare un banner sulla mia timeline e mi rammarico soprattutto perché penso che si stiano mancando importanti opportunità di condivisione che proprio Facebook offre.

Imparare a comunicare attraverso i social, richiede inanzitutto pazienza e una buona dose di serena convinzione. La pazienza ci serve a capire che stiamo seminando e che il frutto, è evidente, non potremo coglierlo domani, mentre la convinzione ci serve ad avere cura del nostro orto, a concimarlo a dovere, nutrendo il terreno con i nostri contenuti e con la nostra creatività.
 Pescando dalla saggezza popolare, potrei azzardare  che, con un pizzico di fortuna, la pazienza e la convinzione di cui sopra, se è vero che ci fanno rinunciare all'uovo oggi, potrebbero regalarci una splendida gallina domani.
E allora, cari amici social, non abbiate paura che le vostre idee e le vostre iniziative non ottengano una alta percentuale di "share":  mantenetevi fiduciosi rispetto alla qualità dei vostri contenuti e scegliete con cura i contatti che, nel riconoscersi nei vostri tag e nelle vostre opportune condivisioni, potranno a loro volta aiutarvi a essere  considerati da un crescente numero di persone a voi destinate.
La vera difficoltà della social-rivoluzione, sta nel capire che a volte basta semplicemente fare di  meno ma mettendoci l'anima :)

mercoledì 19 dicembre 2012

E tu, balli ancora in cucina?

E' mezz'ora che mia figlia è chiusa in camera. Ripete in modo ossessivo una filastrocca di Natale che ha appena composto per la sua famiglia. Mi intenerisce e mi affascina il suo mondo, eroicamente intriso di poetica magia, a dispetto del prosaico che quotidianamente bussa con insistenza alla nostra porta. Credo che i veri eroi siano i puri, i veri, quelli che ci credono perchè lo sentono, che vivono il presente con trasporto e godimento perché si arrendono a  questo attimo,  veramente, completamente, senza opporre resistenza alcuna.
Più vado avanti con gli anni, più mi rendo conto che davvero per i più la crescita rappresenti un lungo, graduale, inesorabile percorso nell'oblio. Si tende infatti a dimenticare, a cancellare, a ritagliare la realtà a propria immagine, allontanandosi spesso dal senso vero e profondo delle cose, pena un giorno qualunque, di piovosissimo nulla, rendersi conto che si sta vivendo la vita di qualcun'altro, interpretando ruoli che ci hanno appiccicato sulla schiena per renderci immediatamente riconoscibili nel supermercato della vita, perdendosi di vista.
Per scongiurare il pericolo, credo che si dovrebbe vivere a contatto con i bambini, i veri saggi, insieme agli anziani che faticano a trovare una giusta collocazione in una società che pretende di non invecchiare mai (solo in apparenza, ovvio) e ci si dovrebbero consentire più follie quotidiane, iniziando con il prendersi meno sul serio, lasciando scivolare una buona dose di leggerezza sulla propria vita. Per dirne una, non credo che necessariamente la professionalità di una persona passi attraverso un modo sobrio di vestire, un'auto in ordine e un biglietto da visita inappuntabile: come al solito in questo elenco manca l'ingrediente principale, quello umano.
Nel fare selezione del personale, ho sempre badato al curriculum ma solo per capire se c'era una capacità organizzativa dei pensieri e una qualità nello scrivere, oltre che una esperienza pregressa (che però, in base ai ruoli, non è mai stata indispensabile)... per il resto trovo i curricula spesso noiosi, scarsamente indicativi delle qualità umane e della potenzialità creativa dei candidati che sono per me elementi imprescindibili in un lavoro di squadra. In una parola, i bambini non scriverebbero mai una sequenza così noiosa di cose inutili: bisognerebbe davvero imparare da loro!
Di recente ho chiesto di fare un colloquio. Non mi occupo più direttamente di selezione del personale ma, trattandosi di un ruolo immediatamente sottoposto al mio, ho chiesto di poter incontrare la candidata. Il motivo? Volevo "sentire" la persona, capire se si trattava di una persona ancora capace di ballare, anche se l'unico posto possibile è la cucina, di quelle che piacciono a me, le uniche con le quali si possa tentare di costruire qualcosa insieme....

sabato 15 dicembre 2012

Mai della misura giusta al posto giusto

Ho spesso sentito chiedere "quando inizia un viaggio?" e le risposte, copiose e spesso convincenti, le ho bevute tutte d'un fiato.
Ma una vita, quando comincia una nuova vita? Quando metti in discussione quello che è stato? Quando decidi di andare via per non sai dove? O quando, dopo lungo spulciare annunci e guardare improbabili immobili, intuisci il luogo in cui far sentire il tuo cuore a casa? Qual è quell'attimo, quel momento che ti fa capire che stai lasciando qualcosa per abbracciare altro, e poi, lo lasci davvero o si trasforma dentro di te? C'è bisogno di un atto di lucido fare o è un naturale evolversi che apre nuove porte, ti invita a nuovi viaggi, ti aspetta ammiccante dietro l'angolo?

Mi chiedo quale sia stato il primo presuntuoso pensiero che, instillatosi nella mia mente giovane e poco avvezza ai crucci di percorso, mi abbia fatto ragionare per sentito dire, perché così fan tutti, perché me lo hanno insegnato i grandi. Oggi, si, che quaranta primavere non hanno ancora bussato alla mia porta,  mi chiedo quale è stato l'attimo in cui mi sono lasciata, o forse non mi sono mai trovata? Come ho fatto, dico io, a vivere senza di me, a fare a meno della mia pelle, del mio respiro, del calore delle mie guance quando mi sveglio stropicciata? Mentre cerco di imparare ad accogliere, spegnere la mente che mente e che giudica, spietata e vivisezionante, mi sfugge l'idea di essere stata presuntuosa fin tanto che ho creduto di vivere per accontentare gli altri, perdendo di vista ME, chi fossi io e dimenticando quindi che la scelta, sempre e comunque, è soltanto la mia e che da essa può dipendere anche la felicità altrui che può ambire dunque a essere piena e non un mero accontentarsi.
Ieri sera ho visto Alice in Wonderland, o forse è lei che ha visto me, e beffarda mi ha sorriso come chi, quel cruccio di non essere mai della misura giusta al posto giusto, lo conosce da vicino.

giovedì 13 dicembre 2012

Di smancerie, auguri di plastica e zucchero a velo.

Piove a dismisura.
Piove che mi sono svegliata, perché piove e stavo sognando che pioveva ma poi, mica vero: ero già sveglia e sentivo l'acqua che batteva.
Dalla pioggia al sogno, fino al ricordo, di quando ero piccola e sprofondavo nel lettuccio caldo nelle domeniche di tempo brutto. Il tempo era un dilatarsi infinito di possibilità e speranze, mentre mi baloccavo con le mie fantasie e pascolavo i miei pensieri in praterie lontane.
Lo stesso faccio in questo periodo, da sempre associato a quello dell'Avvento, in cui si fa "spazio" nell'attesa di un nuovo anno. Sia chiaro, rifuggo feste, occasioni di pubblico augurio, smancerie pandorose e abbracci torronati. Proprio ieri, guidando sotto una piccola e divertente tormenta di neve, pensavo che sono una solitaria con gioiosa propensione alla condivisione di idee, stimoli e bellezza. Si, insomma, una che sta parecchio bene da sola ma che si diverte come una matta a condividere pensieri e parole e che fa dello scambio la sua ragion d'essere, per cui no, non parlatemi di Santo Natale sotto a un albero carico di superflue smancerie mentre bambini leziosi spargono zucchero a velo e poesie biascicate a scuola davanti a un pubblico di adulti distratti. Parliamo invece di cose piccole, torniamo alla sobrietà dell'essenza e sforziamoci di capire cosa davvero conta, cosa è in grado di fare la differenza, qual'è quel particolare che potrebbe renderci felici. A questo pensavo questa mattina stropicciandomi gli occhi e tornando col pensiero  a quando, ragazzina, immaginavo il mio futuro. Nel mio domani vorrei quello che amo nel mio oggi, lo vorrei centuplicato o meglio, a centuplicarsi vorrei che fosse la mia capacità di coglierlo, di apprezzarlo e festeggiarlo.

Vorrei mattine silenziose quando tutto intorno  ancora tace e sentire l'abbraccio di un luogo, come ha sempre fatto con me l'isola


 vorrei continuare ad avere affetti vicini che mi ricordano quando è il tempo di partire per nuove avventure


e momenti di sereno stare, in cui mi guardo intorno e tutto mi sembra perfetto

  
mi piacerebbe un pomeriggio di piovoso nulla per bere una cioccolata calda e riempirmi gli occhi di profumata bellezza, fregandomene se, nel berla, mi sono procurata dei sontuosi "baffi di cacao", ché le cose buone van godute, in barba al bon ton!


e infiniti risvegli con un affettuoso caffè nel letto


e poi ancora momenti di solo cielo



per ricordare che tutto torna, centuplicato....




 centuplicare quindi gli abbracci che darei ai miei affetti


senza smettere di percepire ogni giorno come una nuova importante opportunità di rinascita che mi permette di sentirmi viva



 nella quale sono tutti i benvenuti ma senza tradire il mio istinto solitario, che benedico perché fa parte di me


e alla fine della fiera, non prendermi mai troppo sul serio, riuscire sempre a mantenere una sana e serena dose di leggerezza e, perché no, bermi un buon caffè, mentre fuori piove a dismisura.
Piove che mi sono svegliata, perché piove e stavo sognando che pioveva ma poi, mica vero: ero già sveglia e sentivo l'acqua che batteva.





mercoledì 12 dicembre 2012

Quello che ami lo vivi

"Rivelami ciò che ami veramente, ciò che cerchi e a cui aspiri con tutto il tuo desiderio quando speri di trovare la tua vera gioia  - e con ciò mi avrai spiegato qual è la tua vita. Quello che ami, tu lo vivi. Questo amore rivelato è appunto la tua vita, la radice, la sede e il centro della tua vita”

 Fichte


Difficile aggiungere parole di senso. Sono inciampata in questa lettura e ho perso il fiato per un istante e le parole hanno vacillato prima di uscire impetuose sotto forma di ringraziamento, perché non c'è niente che senta più affine e più vicino al mio modo di pensare (e di agire) al momento. Niente riesce a distogliermi il pensiero dalla considerazione secondo la quale attraiamo ciò che siamo, che pensiamo di essere, che amiamo essere, ed è così che l'oggetto del nostro amore, dà forma alla nostra interiorità plasmandola. Tutto è in noi e da noi ha origine e ricordarlo potrebbe essere utile per mantenere un atteggiamento propositivo e volitivo nei confronti della vita e delle relazioni, che quindi saremmo (anzi, siamo!) in grado di cambiare in ogni istante perché in ogni istante è possibile che avvenga un cambiamento dentro di noi.
In un giorno che sento citare da più parti come l'anticamera della profezia dei Maya, mi piace pensare che questa si sia davvero già avverata e che un mondo, quello delle false certezze , delle ideologie calate dall'alto, delle caste di potere corrotte e indecenti, di una società dei consumi sguaiata che pensa si possa aspirare a un modello di crescita infinita (pena poi aver un terzo mondo destinato a ricoprire l'intera superficie terrestre), sia davvero finito e che si faccia spazio il tempo della consapevolezza, della sobrietà negli stili di vita, della collaborazione (magari in rete, perchè no) di un nuovo umanesimo che riporti l'attenzione sul singolo e sul valore della persona.
Quello che amo, vivo e son qui a dichiararlo e lo faccio ascoltando la voce di una grande donna che mi ricorda che...



@fravola

domenica 9 dicembre 2012

Elba. Per Tutte volte che...

Oggi ho camminato l'Elba e come spesso mi capita, l'ho guardata con occhi diversi.

Ogni giorno abbiamo occhi diversi, l'errore più comune che facciamo è dimenticarlo o peggio ancora darlo per scontato e iniziare a guardarci in giro con aria di sufficienza, come di chi, quei luoghi, quelle persone, quelle atmosfere, già li conosce a menadito per cui lo sguardo si trasforma in un rapido sorvolare sommario, distratto, quasi annoiato.
Oggi non mi sono limitata a fare esercizio di "estraneitudine" (guardare cioè ai miei luoghi, come fosse la prima volta che li incrocio) ma ho lasciato che dalle labbra salisse un lieve sussurro, quasi una formula magica, una breve benedizione che mi aiutasse a "lasciare andare"i crucci come i momenti di meraviglia legati a questi luoghi, perché  "mi sto facendo un pò di posto  e che mi aspetto chi lo sa,  che posto vuoto ce n'è stato ce n'è ce ne sarà" (si, canticchiavo anche, lo ammetto).
Ho giocato quindi  al "per tutte le volte che"....

Per tutte le volte che mi hai fatto arrabbiare e che, dopo cinque minuti, ti amavo più di prima


Per tutte le volte che non ti ho capita, che mi sei sembrata sorda e cieca, chiusa, ostinata e scioccamente fiera del tuo essere isola mentre io avrei voluto farti abbracciare l'arcipelago e poi ho capito che eri più forte tu.


Per tutte le volte che con gli occhi appannati di lacrime, ti ho camminata sul lungomare e tu, materna, mi hai sempre accolta e ristorata e solitamente hai sciolto tutto in una fragorosa risata.

Per tutte le volte che ho avuto voglia di sbatterti la porta in faccia urlandoti che sei presuntuosa e senza futuro perché arroccata in un passato che è la tua ricchezza solo se della tua storia impasti il tuo futuro e poi, maledetta Circe, mi hai ammaliata con il tuo indiscutibile fascino.



Per tutte le volte che pensavo di conoscerti e di saperti e tu, maliziosa, mi hai ricordato che non si finisce di scoprire perchè il vero viaggio, proprio vero, consiste nell'avere occhi nuovi



Per quel giorno in cui ho capito che Ulisse non è stato ammaliato dal canto delle sirene ma da quello del mare e ho iniziato ad ascoltare le tue infiinite storie.


Per quando quel giorno a Chiessi ho urlato "Io di qua non vado via, mai" e mi hai insegnato che niente è per sempre o meglio, che in un certo senso tutto lo è, nel mentre che lo vivi, perché ogni istante è per sempre se è così che lo senti. Dunque non indugiare e festeggia, benedici sempre ciò che incontri e fallo con la solennità riservata a ciò che è "per sempre".

Per tutte le sere in cui ti cercherò e capirò che non occorre che ti cerchi perché anche io sono Isola e in te c'è un gran bel pezzo di me.


Per tutte le volte che avrò l'illusione di mettere via un pò di cose e capirò che niente si può mettere via, perchè tutto ciò che ho costruito, ho incontrato e ho amato, viaggia con me.


sabato 8 dicembre 2012

Di viaggi per sognatori audaci

Questo post nasce da un post, che poi è una post riflessione di un qualcosa nato a BTO.
Questa mattina infatti ho letto una interessante considerazione che Paolo Ratto ha fatto sul suo blog (andatela a leggerla qui, perché merita). Sono stata attratta subito dal titolo, perché la presunta (in)calcolabilità del ROI con me ha presa facile. Non è un mistero infatti che io sia tendenzialmente allergica alle pratiche "vivisezionatrici" che pretendono di misurare, comparare, rendicontare ogni singolo frutto dell'operato umano.
Da buona amante degli sguardi olistici, protendo invece per una visione di insieme che non risparmia quindi neanche tutte le operazioni di comunicazione che sottendono l'attività di una azienda (in questo caso un hotel). Quello che voglio dire, e che ho cercato di esprimere anche nel rispondere a un quesito che mi è stato posto durante il mio speech a BTO, è che la vera rivoluzione che i social media hanno apportato, è di ordine culturale. L'avvento del 2.0 ha in effetti stravolto il comune sentire, ponendo al centro dell'interesse ogni singola voce (o cinguettio) e quindi l'individuo, la persona, il suo bagaglio di unicità e di esperienze. In questa ottica vengono a cadere le "strategie di mercato" e si insinua un nuovo concetto: quello secondo il quale la migliore strategia che una azienda può mettere in campo, è proprio la risorsa umana di cui dispone, in termini di qualità personali, predisposizioni, interessi, attitudini che i social media aiutano a esprimere e a mettere in risalto. Un esempio per tutti? Peccando di campanilismo potrei citare  TRIP TRIP HURRA', la videorisposta che abbiamo realizzato per cercare di capire quali fossero i motivi dello scontento che aveva originato una serie di recensioni negative tutte molto simili tra loro, a partire da un presupposto per noi imprescindibile: metterci la faccia, dare valore alle persone, dare una voce e un volto a quelle critiche.

Si, perché dietro alla pasta scotta o al giardino a mare con i cestini da vuotare o alla sottoscritta che offre aperitivi agli amici, ci sono storie, vissuti, esperienze, talavolta anche difficoltà e momenti no, dei quali avere rispetto a prescindere. Avere rispetto delle persone, mettere al centro le loro storie, non significa giustificarle a prescindere né che queste siano infallibili, significa solo tornare a dare il giusto valore a quanto ci circonda e per farlo, io credo si dovrebbero raccontare più storie e fare meno analisi quantitative sui ritorni degli investimenti che non sono, di fatto, quantificabili se non nel lungo periodo, soprattutto in termini di brand reputation, per dirne una.
Se davvero iniziassimo a pensare che la nostra migliore strategia siamo NOI e che quindi sarebbe opportuno iniziare a pensare a una "filosofia" della comunicazione, intesa come un momento di silenzio nel quale iniziamo a chiederci "chi siamo, cosa vorremmo esprimere, a chi stiamo parlando e con quali mezzi", credo che in giro troveremmo più storie da raccontare e meno questionari sulla soddisfazione da compilare a fine soggiorno e forse, la vacanza tornerebbe a essere un luogo per sognatori audaci!

giovedì 6 dicembre 2012

Di come (e di quanto) il luoghi li facciano le persone

"È in noi che i paesaggi hanno paesaggio. Perciò se li immagino li creo; se li creo esistono; se esistono li vedo. […] La vita è ciò che facciamo di essa. I viaggi sono i viaggiatori. Ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo". 
Pessoa

Si, lo ammetto, il libro dell'inquietudine di Pessoa c'entra con questo post.
O meglio, c'entra la sensazione che alla fine della fiera i luoghi li facciano davvero le persone e che quindi questi siamo una semplice "coincidenza spazio temporale", utile affinchè l'incrocio umano abbia luogo.
Ma andiamo per gradi (mi son confusa anche io!)
A fine novembre mi chiama un caro amico. Ah, si, perché mentre faccio la cantastorie all'Hotel Cernia, capita che io incontrando ospiti, artisti, musicisti, mi invaghisca tremendamente della loro umanità e in un soffio entrino a far parte della mia "famiglia". Nella fattispecie, quindi, il caro amico che mi ha chiamato a Novembre, è Fabrizio, un vulcanico batterista pittore siciliano che ho avuto il piacere di incontrare qualche anno fa proprio in hotel, dove si esibì con il suo quartetto jazz. Durante la telefonata, ho appreso che il mio amico stava organizzando un tour nel centro Italia e che una data era prevista a Pisotoia. Pistoia??
 In un attimo ho realizzato che Marco, un altro mio amico, gestisce una struttura proprio lì vicino, e che sarebbe stato fantastico poter provare a realizzare un incontro di persone, affetti, storie, legati a doppio filo al Cernia (perché avrei contattato gli ospiti, che nel tempo sono diventati amici, dell'hotel) ma fuori dall'albergo, proprio nel Frantoio di Colle Alberto dove lavora Marco. In un attimo è stato tutto un frullar di telefonate, mail, contatti, proposte e, senza che me ne rendessi conto, è nato il #cerniatour ovvero la possibilità di fare incontrare le persone e gli affetti che si sono creati all'isola d'Elba ma a Pistoia, in un'altra struttura, facendo esibire gli amici jazzisti dopo una cena preparata dal nostro cuoco. In pratica, le persone sarebbero state le stesse (e quindi abbiamo esportato anche la nostra cucina emotiva) ma il luogo sarebbe stato completamente diverso. Distese di campi e ulivi vs. il mare cristallino dell'Elba e il giardino del Cernia e in un attimo ho capito che avrei avuto modo di provare personalmente quanto aveva scritto Pessoa, riguardo ai luoghi, ai viaggi e alle persone.
Il risultato è stato a dir poco entusiasmante perché in un brevissimo lasso di tempo non solo mi sono sentita a casa in un luogo (tra l'altro la struttura è bellissima, dateci un'occhiata qui) mai visto prima, ma mi son trovata ad accompagnare in camera gli amici, ad accoglierli al loro arrivo, a mangiare alla stessa tavola con loro proprio come accade in hotel.

 












In pochissimo tempo, mi è stato chiaro che la magia che pervade l'albergo, è il risultato di un incrocio umano straordinario che ha la virtù di procurare gioia e benessere non solo in chi ci viene ma anche in chi, come me ci lavora. Ho avuto quindi la assoluta certezza che i luoghi sono "meri" pretesti relazionali, quasi come fossero degli svincoli autostradali, delle aree deputate all'incontro e allo scambio tra persone, storie, vissuti. In questa chiave, riesco a leggere diversamente anche il mio lavoro e ad aggiungere un colore nuovo ad esso. 
Confesso che spesso mi sono sentita dire, in modo più o meno diretto, che quanto facevo era "facile" a farsi, perché mi trovo in un posto meraviglioso (l'isola d'Elba e nello specifico Sant'Andrea che è realmente uno degli angoli più fascinosi dello "scoglio") e lavoro in un bell'albergo e confesso anche che non ho mai replicato a queste affermazioni. La ragione del mio silenzio, è che, pur sussistendo le condizioni di "bellezza" che mi venivano ricordate (a volte con veemenza, lo confesso) non somo mai stata gran chè convinta che la bellezza di per sé bastasse. Il Cerniatour mi aiuta a trovare una risposta e a capire forse ancora meglio dove risieda la magia nel mio lavoro. Se Colle Alberto si trova in un tratto di campagna pistoiese molto bella e la struttura, di per sé, è piena di fascino perché recentemente ristrutturata con gusto, non credo che l'appeal complessivo del luogo basti a giustificare la "pienezza" vissuta in quei giorni di un piovoso novembre. Niente SPA o trattamenti benessere, intrattenimenti serali o piste sciistiche a motivare il lungo viaggio degli ospiti (che ci hanno raggiunto anche da Roma e Torino) ma un solo, insostituibile ingrediente: l'incontro. 

 A Colle Alberto, abbiamo vissuto due giorni di affetto, circondati dalle attenzioni di Marco che si è adoperato mettendosi in gioco in una avventura del tutto nuova per lui, e in un attimo ci siamo trovati tra i banchi del mercato a fare la spesa dai contadini, dietro ai fornelli ad aiutare Michele, il cuoco, in sala da pranzo ad apparecchiare e infine tutti insieme a colazione per un pieno di buoni propositi. Non amo il Natale, purtroppo fin da quando sono piccola, ma se dovessi immaginarmene uno, somiglierebbe ai miei giorni a Pistoia. Non raccontatemi balle: i luoghi, così come i viaggi, li fanno le persone e io ne conosco di straordinarie, parola mia.