lunedì 7 gennaio 2013

Guardate un bambino: cosa lo inebria?

Scrivo da sempre.
No, beh, da quando ne ho memoria.

La scrittura è sempre  stata la mia migliore amica. Avete presente l'età in cui tutti i bambini hanno un amico immaginario? beh, io avevo il mio diario. Mi seguiva ovunque e quando non c'era, a sostituirlo trovavo un foglio, una penna a uno spazio silenzioso, per me.
Scrivere mi aiuta a fermare il tempo (ok, so già che mi direte che il tempo non esiste.... allora diciamo che ferma l'idea che di tempo abbiamo, ok?). Dunque, dicevo, che la scrittura è la mia migliore amica, mi aiuta a dipanare i piensieri che da sempre corrono veloci e che si perdono con tumulto e vivavicità nei meandri della mia immaginazione. Come tutti i viaggiatori che si spostino per mare (ovvio, vivo su un'isola!) ho bisogno di attraccare di tanto in tanto, di tirare l'ancora (e il respiro) e ascoltare e per farlo, scrivo.
Cosa scrivo? Di tutto, dalla lista della spesa (che puntualmente dimentico a casa e quindi, dico io, perché intestardirsi a farla!) alle cose che mi piacciono, dalle litigate con mia figlia, ai momenti più ameni di me e di lei, talvolta, passando per disquisizioni di dubbio valore filosofico quando cerco di interpretare i miei sogni (e quando mai ci becco, comunque,  per non perdermene neanche uno, ho preso l'abitudine di tenere un quaderno vicino al letto).
Ultimamente però m'è presa una fissa.
Mi sono cioè convinta che si finisca con l'attrarre ciò che si pensa e che quindi quanti più pensieri positivi nutriamo e alimentiamo in noi stessi, tanta più "abbondanza" troveremo lungo la via. Per tenere viva la fiamma dei buoni pensieri, mi diverto quindi a stilare un quotidiano elenco delle cose e/o delle persone/eventi per i quali essere grati o che semplicemente mi piacciono e mi fanno stare bene. La cosa sorprendente, è che ho capito che di motivi per i quali essere contenta io ne ho davvero molti e  che questi passano quotidianamente in sordina, sepolti dalle varie preoccupazioni lavorativo - familiari. Non solo: ho capito che siamo avari, che le nostre vite sono pervase da una sorta di stitichezza emotiva che mi ha stancata. Sono stufa (l'ho detto)  di perdere tempo, anestetizzandomi alla vita, rivestendo le mie affermazioni di quel cinismo che fa tanto chic e smart e magari cool (ci stava bene, dai), sedendomi in una qualunque sala d'aspetto della vita, in attesa che una presunta superfelicità formato famiglia, full optional e in superhd si presenti davanti a me. Ma quante vite devo vivere ancora per capire che è TUTTO QUI, che la perfezione ci circonda, che basta mettere il naso all'insù, tendere l'orecchio in mezzo a un prato, spogliarsi dei comportamenti di circostanza e frugare, instancabilmente cercare, quel quid di autentico, innato, semplice, non socialmente corrotto, che vive e palpita dentro di noi?
Le rare volte in cui riesco a fare silenzio dentro di me e a ricordare la mia fortuna, svaniscono i problemi, i pensieri, persino quell'orrenda inclinazione (inutile, per la verità) alla pre-occupazione e riesco, d'un tratto, a occuparmi, invece, di me e di chi amo. Il riconoscere la bellezza non significa rinunciare allo spirito critico che resta un ingrediente fondamentale per valutare e discernere ma che, se usato a dismisura, può diventare una lente deformante per interpretare la realtà .
In sostanza, non lo nego, io sono una grande amante della semplicità (che, state attenti, è complessità risolta e non fa rima con superficialità).
Maya o non Maya (a proposito, sia chiaro: carine tutte le battute che sono fiorite in materia ma ovviamente il cambiamento è in atto e come) io sento una crescente necessità di tornare alle origini, al significato delle cose (parole comprese: se ne abusa così spesso, che orrore!). E' come se percepissi che negli anni avessimo aggiunto sovrastrutture, falsi bisogni, etichette e istituzioni sociali di varia natura e genere alle nostre vite e ci fossimo allontanati dall'essenza delle cose. Guardate un bambino e fate caso a cosa lo inebria: una giornata di sole per uscire nel parco a esplorare il mondo, la carezza della madre, una parola gentile, un buon pasto, sonni confortevoli. E voi, di cosa avete bisogno per sentirvi appagati? e soprattutto, vi ricordate di esserne grati? Io troppo poco per la verità: è tempo che  cambi abitudini!


4 commenti:

  1. Cara Fravola,
    condivido tutto quello che scrivi e ti dirò di più: usi il mio stesso metodo per discernere le cose giuste da quelle sbagliate.
    Quando non so come agire rispetto a una determinata cosa mi dico: lo farei di fronte a un bambino? oppure: un bambino come si comporterebbe al mio posto? Questo metodo fa chiarezza e aiuta a prendere decisioni.
    Un abbraccio!

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  2. Cara Mercoledi, ti rispondo in un Martedi di uggia o meglio di sottile inquietudine e sono felice di leggerti. Non credo sia retorica quando dico che davvero dovremmo imparare dai bambini. Io a scuola andrei da loro, dico sul serio, e le riptetizioni le prenderei dagli anziani. E invece viviamo alla rovescia: gli anziani li releghiamo ai margini della società, mentre i bambini li rimbambiamo di videogiochi e "cose" (quando è affetto che loro desiderano). Mi conforta non sai quanto, trovare persone che la pensino come me: il cammino, se non si è soli, sembra a tratti meno faticoso! Grazie, un abbraccio a te!

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  3. "semplicità (che, state attenti, è complessità risolta)" mi piace!

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  4. Ahahah, si perché spesso dire che ami la semplicità ti catapulta in un'altra realtà: quella della superficialità (#micavero) :)

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