lunedì 28 gennaio 2013

L'isolAmare di Francesca Groppelli

E pensare che ieri c'era un bel solicello e io ero lontana e sognavo la mia amata, le sue spiagge selvagge, le rocce assolate, i sentieri boscosi e oggi, che sono tornata sull'isola, è tutto un piovere nebbioso. Non crediate, anche oggi ha il suo perché.
Una tazza fumante di orzo, le candele di rito accese e per me si spalancano le porte del Paradiso e  sono pronta per la prima storia di isolAmare.
L'avevo detto, no? Mi piace l'idea che di un posto, al di là del numero delle spiagge, dei campeggi e dei locali serali aperti, si racconti la vita, le passioni, le esperienza di chi la vive, la ama, se ne prende cura, affinché il racconto diventi credibile e soprattutto si colori delle emozioni delle persone (perché, si sa, i luoghi li fanno le persone). Molti conoscono la vocazione minerari dell'isola, tanti associano all'idea dell'Elba quella di Napoleone e parecchi hanno sentito dire che qui si produce un ottimo vino passito (l'ha detto pure Mina, figuriamoci) 


ma quanti sanno che quest'isola ha la fortuna di essere profondamente amata da moltissime persone che da lei si lasciano ispirare?
Il racconto di isolAmare inizia con Francesca Groppelli, mia omonima, come me non nativa dell'isola ma assolutamente e inguaribilmente affetta da elbanitudine. Ho scelto di iniziare con Francesca perché è una donna che impegna molte energie e competenze nel cercare di tenere unito il contesto culturale dell'Isola e perché condivido pienamente la sua idea secondo la quale ciò che si riceve in qualche modo lo si restituisce e quest'isola, giuro, trabocca bellezza.




Francesca, solo 4 domande. Per iniziare, raccontaci chi sei
"Mi chiamo Francesca Groppelli, sono un' artista.Dopo gli studi di Pittura in Accademia a Milano, mi sono occupata di arte nella mia città d'origine,
Crema, in provincia di Cremona.
Nel 1983 ho ideato insieme al critico d'arte Paolo Ferrari la rassegna “Opera Aperta”. Hanno
partecipato diversi artisti, poeti, musicisti e un convegno sullo stato dell'arte contemporanea. Da tempo come artista ero “uscita” dallo spazio della tela che usa il pittore. Ne è risultata l'esigenza
di prendere possesso di uno spazio più ampio; di occupare con l'arte muri, piazze, luoghi della città.
All'interno del progetto il mio intervento è stato una installazione, “Agorà, che aveva l'intento tramite una proiezione di immagini di opere in restauro, di riqualificare e valorizzare un “luogo”, il Mercato Austroungarico a Crema. Uno spazio cittadino pubblico, un luogo deputato all'incontro e allo scambio delle merci in completo stato di abbandono. L'obiettivo che mi ero proposta era di sensibilizzare le persone alla salvaguardi ed al restauro dell'opera d'arte, (in quel caso una architettura) e dei beni artistici, dando loro nuovamente vita. Da quell'intervento è partita una riconsiderazione di quel pezzo di città “abbandonata” e ora a distanza di anni quel luogo viene utilizzato per interessanti mostre d'arte".

 


Da Crema all'Elba, perché?
"Sono arrivata all'Elba 27 anni fa. Ho amato l'isola da subito..... allora insegnavo e questo mi permetteva di passare sull'isola molto tempo. La spiaggia delle “Viste” era il luogo dove trascorrevo le mie giornate, guardando il mare, ma sopratutto lo Scoglietto. Alcuni anni fa, per amore, mi ci sono trasferita. C'è forse una ragione particolare per cui l'isola e l'acqua che la circonda attira a se le persone in ricerca e desiderose di sviluppare al meglio le proprie capacità? Parecchi artisti come me hanno deciso di vivere all'Elba o di soggiornarvi a lungo. Ora penso che anche il magnetismo delle sue rocce attiri a se con grande energia".


 
L'Elba per TE, puoi descrivercela? 
Da sempre penso che quello che una persona riceve debba restituirlo.
Per questo motivo ho fondato l'associazione culturale ArteElba, con l'intento di valorizzare il
territorio e di promuovere l'arte sull'isola.
Nel 2010 ho ideato e curato per il Comune di Portoferraio il Premio “Elba Arte Donna”,  per dare
visibilità al lavoro delle artiste presenti sull'isola.
Il Premio che ormai è diventato un appuntamento fisso, si svolge tutti gli anni a Marzo al Centro
Culturale De Laugier. In questi anni tante artiste, tante personalità di donne rivelate attraverso l'arte
che, come rammentano i dizionari, è un sostantivo femminile.
Per approfondire concretamente cosa un artista può dare a una città e a una comunità attraverso una
sinergia con l'organismo pubblico, posso raccontare inoltre il progetto NONSOLOARTE.
Una serie di mostre e incontri culturali che hanno animato le serate domenicali estive che si sono
svolte presso la Sede della Lega Navale Italiana a Portoferraio, in collaborazione con il Comune.
NONSOLOARTE ha portato alla rivalorizzazione culturale, ambientale, artistica, sociale di un
luogo, il Grigolo. Un intervento di Arte Pubblica teso a preservare un “luogo” di vita, dove la gente
può comunicare, giocare, riposare e contemplare! Stare Bene. La scrittura mi obbliga ad interrogarmi sul mio significato di essere artista. L'essere immersa completamente in quello che sto facendo, una vita dedicata a una idea di arte che non è legata al mercato, ma è espansione del proprio essere. Oggi per me l'Elba è motivo d'amore, per la sua cultura e la sua natura.
L'intera isola è disseminata di tracce che ci provengono dal passato. L'Elba è stata frequentata da grandi artisti. Nel 1926 vi ha soggiornato come turista per un periodo di riposo il grande artista svizzero Paul Klee. Egli visita l'Elba perché ci si può vivere tranquilli, immersi nella natura e nella bellezza. Un “luogo dell'anima”.... Il viaggio di Klee non fu solo fisico, ma d'esplorazione interiore, tra terra-mare e spirito; una ricerca che forse non ha uguali nella storia dell'arte moderna. Ho studiato e amato la poetica di questo artista e l'isola me lo ha fatto rincontrare. L'isola è quindi anche per me “scelta di vita”, “viaggio di scoperta” verso le origini, verso l'essere."




Per finire, Francesca, mi piace l'idea che isolAmare sia un passaparola di passioni e che ognuno partecipasse attivamente alla costituzione di questo girotondo di umanità e sensibilità unite dal grande amore per l'Elba. Quindi, prima di salutarti e ringraziarti di cuore per la disponibilità, ti chiedo, adesso vorresti che raccontassi l'isolAmare di Chi? E perché?
"Dico Claudia Lanzoni perchè credo che sia una persona con tanto cuore e che ami l'Elba, da non elbana, quanto me. Quello che sta facendo per Capoliveri non è solo lavoro."

Ammiro molto l'impegno di Claudia Lanzoni e in tutta onestà (ma non ditelo in giro) sono felice di continuare a raccontare di donne (del resto l'isola è femminile). Sarà un piacere continuare la storia di isolAmore ma una cosa è già evidente: qui il filo rosso è la passione!

venerdì 25 gennaio 2013

IsolAmare chi è?

Appena nata, la nuova comunità isolana  su facebook, ha attratto curiosità di ogni genere e soprattutto ha ricevuto un abbondante flusso di messaggi, poesie, immagini che gli isolamanti hanno sentito il desiderio di condividere.

Segno inequivocabile che la comunità esiste al di fuori del social network e che pullula di creatività e bell'umanità che si raccoglie sotto un unico, grande, stimolante tetto: l'Isola d'Elba, musa ispiratrice di una grande varietà di espressioni artistiche.
A suggerirmi l'idea di questa comunità, il mio malcelato desiderio di raccontare l'isola a più voci, attraverso lo sguardo dei tanti che, come me, la amano e a lei si ispirano nel dare voce e corpo alla propria creatività.
Io credo ai posti del cuore, a quei luoghi cioè che per la loro straordinaria commistione di bella umanità, suggestioni naturalistiche e buone energie, sono capaci di regalare a chi li incontri un senso di benessere che perdura nel tempo, a dispetto della distanza fisica.
L'Isola d'Elba è, secondo me, uno di questi luoghi e a suggerirmi che non sono la sola a sentirmene visceralmente attratta, il felice pullulare di espressioni artistiche che mi piacerebbe fossero il filo rosso del racconto di un territorio che in prima battuta è vissuto e amato da chi lo propone ai possibili fruitori. Quello che mi piacerebbe esprimere attraverso la neonata comunità, è che l'Elba prima ancora di essere una destinazione turistica di indubbio fascino, è un luogo che attrae umanità varia unita da un comune sentire per l'isola e che difficilmente si esprime attraverso i "canali turistici", perché parla la lingua semplice di un quotidiano vissuto a riparo dal clamore cittadino, tra baie tranquille e risacca di mare, in mezzo a ginestre in fiore e ripidi sentieri scavati del granito, o ancora tra vecchie miniere e laghi di acqua sulfurea. L'Elba è in primo luogo varietà, un coacervo unico di storie, tradizioni, microclimi, endemismi, veri e propri luoghi di culto geologico che negli anni le varie guide turistiche hanno raccontato in modo più o meno esaustivo ma pure sempre distante da quello che è il cuore pulsante dell'isola: la passione dei suoi abitanti. 
Ecco che mentre inizio a dare forma a quest'idea, mi sorprendono gli struggenti versi di Alessandra Palombo che racconta il suo Iomare mentre Cristina Spinetti ci offre il suo sguardo sull'Elba e ho la conferma di quanto generoso e desideroso di esprimersi sia il contesto elbano.
Vi invito quindi a partecipare a questa Social dichiarazione d'Amore per un'isola che sento più il bisogno di raccontare attraverso gli occhi e il cuore delle persone che la vivono e che non sempre si sono riconosciute nei modi in cui è stata presentata.
Grazie fin da ora per i messaggi di stima e di solidarietà che copiosi mi stanno arrivando: segno che l'Elba ha un gran bel cuore che batte forte.
La donna dell’isola
è donna di ghiaia di riva rappresa,

è donna di mare
rena che sparse il suo sale
sul manto marino

è occhi innocenti arrossati,
sale asperso dal moto di libere onde,

è tempo che entra ed esce dal cosmo,
al variare del vento,

è amore sulla rena
della piccola spiaggia,
sotto cori invocanti la pioggia.

La donna di mare è uno strano animale,
oltre il canale allunga il suo sguardo
e poi si ritrae

oltre l’alone solare, oltre l’ibisco
si stende supina

la donna dell’isola
è la Signora dell’acqua
è isola stessa.

Ella muta e rimane se stessa.
(Alessandra Palombo)



giovedì 24 gennaio 2013

Emozionare è un'arte




Lo ammetto, sono esigente.
Vabè, sono esigente, testarda, insaziabilmente protesa a migliorare e pure rompiscatole (giuro, i ragazzi che lavorano con me condividono e probabilmente potrebbero rincarare la dose).
Eppure questo qua, questo cuoco che lavora da noi, testardo più di me, che non ha mai smesso di credere nel suo progetto creativo, ce l'ha fatta (non a farmi cambiare idea ma ad addolcirla, arricchendola di spunti nuovi). Il cuoco in questione è Michele Nardi e quello che si è inventato è ammirevole perché dimostra una non comune capacità espressiva, per cui ne parlo.
La premessa necessaria al mio racconto, è che Michele è stato da me "scelto" grazie a una inspiegabile intuizione che aveva per protagonisti un pentolino di latte, qualche uovo, manciate di farina, zucchero e, soprattutto, il rosmarino dell'isola. All'epoca seguivo infatti un corso di cucina tenuto proprio dal Nardi che era, non dico noioso, (rischierei di giocarmi la collaborazione del sopracitato cuoco) ma "ordinario" si. Si trattava di un corso di cucina tipica elbana, che riproponeva le ricette locali e che a mio avviso peccava di non sufficiente territorialità. Cosa ne era infatti dello straordinaria varietà di piante selvatiche eduli? Perchè non usarle a completamento delle preparazioni? Ero certa che "i vecchi", alle cui ricette era ispirato il corso, ne facessero largo uso: per cui, perché non inserirle? Il mio amore per le erbe selvatiche meriterebbe un post, nel senso che è di lunga data e che molti sono gli elementi che lo compongono ma vi basti sapere che, per la testardaggine di cui sopra, continuavo a portare al corso di cucina erbe selvatiche che avremmo potuto "casualmente" usare. Non so dirvi a tutt'oggi se vinse la stanchezza o la voglia di sperimentare, tant'è che un giorno Michele mi disse di aver preparato una crema con il rosmarino selvatico che avevo portato.
Fu luce!
Quella notizia mi spalancò le porte di nuovi mondi, la possibilità di sperimentare, creare, proporre la meravigliosa ricchezza della nostra isola nei piatti che andavamo proponendo in albergo.... fu così che lo "ingaggiammo".
Da quel tempo son passati anni, molti piatti, tante cene, infinite occasioni di confronto e conoscenza reciproca e fu chiaro fin da subito, in realtà, che Michele fosse un cuoco atipico (no, non siate ironici: mica perché ha il coraggio di lavorare da noi a un progetto assai fantasioso come la "cucina emotiva") ma perché coltivava una gran varietà di interessi e una singolare poliedricità creativa. In soldoni: ha una manualità invidiabile e la capacità di trasferire la sua individualità e le sue emozioni in quanto crea (piatti inclusi, per cui vi aspetto a cena da noi) . Tra i suoi vari interessi, spicca quello per la pittura che ultimamente ha incontrato anche la scultura dell'ulivo.
Personalmente ho sempre avuto un approccio molto critico alle sue opere ma quello che davvero mi commuove guardandole è, da un lato, l'amore per quest'isola, dall'altro, la straordinaria capacità di vedere, intuire, leggere tra i nodi del legno o le pieghe di un'onda, un'infinità di storie, situazioni, racconti, mondi paralleli che di fatto, fanno del Nardi un cantastorie immaginifico. Credo che ognuno di noi abbia un dono e che riconoscerlo, valorizzarlo, amarlo, sia un impegno lungo una vita, per cui ogni qual volta io intuisca o riconosca negli altri lo sforzo di ricerca, provo un grande rispetto per questo impegno e, da buona ciarliera, amo condividere questo sentire.
Non sono qui a disquisire di tecnica espressiva né di gusto (che peraltro è personale) ma di passione e di amore per un territorio al quale scopro, solo ultimamente, di essere legata in modo viscerale anche io, quasi come che l'isola si trasformasse nottetempo in una spietata e ammaliante Circe che lega a sè i naufraghi che, come me, vi sono approdati.
Spesso mi sono interrogata sul concetto di arte e solo ora inizio a capire che alla fine si tratta di una definizione, un modo per recintare uno spazio nel quale includere alcuni ed escludere altri. Io però, che amo mantenere uno sguardo olistico sulla realtà, ho capito che preferisco stare alla larga da queste definizioni che tagliano, escludono, separano, per dedicarmi a concetti più "rotondi" come emozione, dedizione, immaginazione, creatività che, in effetti, ritrovo in questi lavori.
Ho avuto occasione di scriverlo a più riprese qui e altrove: per me la differenza la fanno sempre le persone, lo straordinario bagaglio di storie che portano con sé, quasi fosse uno scrigno prezioso, e quindi benedico ogni occasione di condivisione dello stesso. Curiosi di vedere  lo scrigno di Michele? Cliccate qua e buon viaggio :)


sabato 19 gennaio 2013

Felici si nasce o si diventa?

Amo la radio. Mi piace un sacco. Mentre la TV pretende che tu la osservi (per cui se la accendo mentre faccio altro, mi distraggo continuamente per andare a vedere cosa sta succedendo) lei, la radio, discreta mi accompagna mentre lavoro, cucino, sistemo e spesso lo fa nutrendomi di  informazioni, curiosità, approfondimenti che mi lasciano sempre un sedimento dentro, che vuol decantare nel tempo.
Così oggi a Radio Rai3 è stata la volta di Radio3 Scienza che, guarda caso, trattava del Festival delle scienze di Roma che quest'anno approfondisce il tema della Felicità.


Si potrebbe disquisire a lungo sul perchè, ultimamente, fioriscano sempre più di frequente dissertazioni scientifiche (quindi socialmente date per buone) su questi temi, fino a poco tempo fa relegati all'ambito del new age o delle scienze olistiche (per i più roba da "santoni", per intendersi) ma qui e ora preferisco raccontarvi l'esperienza odierna. A parlare  del rapporto tra sessualità e felicità, la neurobiologa Gillian Einstein, docente del dipartimento di psicologia dell'Università di Toronto che fin dalle prime battute ha catturato la mia attenzione. La Einstein, chiamata a dare una piccola anticipazione di quella che sarà la sua Lectio Magistralis oggi a Roma, sostiene che le esperienze che facciamo nella nostra vita, danno di fatto sostanza alla differenza dicotomica tra i sessi socialmente accettata e che, a ben vedere, in natura queste differenze sarebbero meno marcate e più sfumate se a ognuno fosse data la possibilità di esprimere il proprio "colore". A rafforzare la tesi, l'idea, da me condivisa, che il manifestare un senso di appartenenza di genere secondo canoni prestabiliti (abbigliamento, cura di sé, modo di esprimersi e di esprimere le proprie emozioni) serva principalmente a colmare la paura del diverso e dello scoprirsi diversi dalle aspettative che su di noi ricadono. Sostanzialmente, continua la Einstein, per condurre una vita felice bisognerebbe essere capaci di fare 2 cose: aprirsi alla diversità e varietà del mondo spogliandosi del giudizio (bello-brutto, giusto-sbagliato, buono-cattivo e così via) e conoscere se stessi (di socratiana memoria) facendo dell'accettazione di sé e della adesione alla propria individualità, la propriaa ragion d'essere.
Inutile aggiungere che questi sono temi a me cari, che percorrono come un sottile e invisibile filo rosso tutte le dissertazioni tra il serio e il faceto che compongono il mio blog; più prezioso invece sottolineare con piacere quanto questi temi, chiamiamoli esistenziali, entrino di diritto a fare sempre più parte del nostro quotidiano, sconquassato dal cambiamento in ogni campo del nostro vivere. Mentre vengo a sapere che in Sardegna esiste l'Università della Felicità e mi mangio le mani perchè dall'Elba mi è davvero impossibile iscrivermi, non faccio che rafforzare la mia personale convinzione che ci sia un gran bisogno di tornare all'essenza del vivere e del condividere e che per farlo, il primo passo sia quello di avere cura di sé, conoscendosi e apprezzandosi, per riuscire in seconda battuta ad estendere questo sentimento di accettazione serena anche al prossimo. Per dirla con Nathaniel Hawthorne:

Happiness is a butterfly, which, when pursued, is always beyond our grasp, but which, if you will sit down quietly, may alight upon you.


giovedì 17 gennaio 2013

Torniamo a guardare le stelle


Questa mattina sono andata in città (questa parola, essendo fiorentina di nascita, mi diverte sempre un pò perché è  chiaro che qui, sull'isola, le "città" come ve le intendete voi, non ci sono). Insomma, immaginatevelo come volete, ma sono andata nel paese più importante dell'isola, dove si va per sbrigare faccende, incontrare un'amica per un caffè o semplicemente per infilarsi un paio di scarpe e attraversare le strade sulle striscie (ok, faccio coming out: i miei piedi  vivono in simbiosi  con le Birkestock  perchè loro, come me, sono ribelli di natura e detestano le costrizioni).
Arrivata a Portoferraio, ho avuto una strana sensazione che strideva con quella di inizio mattina quando, inebetita, mi sono fermata a guardare l'Elba svegliarsi. Si, perché ogni giorno, giuro, è diverso. Ogni mattina (che sia accigliata, serena, ventosa, striata di nuvole o accecante di sole) Lei - l'Elba -  mi innamora.


Dico sul serio, fatico a capacitarmente: è una sensazione indescrivibile, un misto di emozione, bellezza che mi sopraffà e totale incanto. Credo sia un privilegio, oltre che una crescente necessità visti i tempi, vivere in un contesto in cui la Natura è così forte e permea ogni istante della giornata perché davvero, Lei, è la sola depositaria di risposte che non si possono trovare altrove (sempre che non si desideri incappare in pagliativi, per carità!).
In effetti la sensazione che ho avuto in "città" questa mattina, era di segno diverso, lo confesso: sono molte le attività che chiudono e che espongono cartelli di liquidazione totale e nei bar si parla della difficoltà di questi momenti e delle prospettive incerte per il futuro. A rincarare la dose, mentre rientravo in macchina, alla radio un giornalista commentava di come e quanto i dibattiti politici in tv negli anni si siano allontanati dai temi ideologici per abbracciare quelli da drogheria (in effetti, è tutto un parlar di aumenti, tasse e caro vita).
Credo di aver somatizzato tutte queste sensazioni e in breve tempo, arrivata a casa, ho accusato uno strano malessere che ho cercato di placare andando a correre sulla spiaggia.
Di nuovo, d'improvviso, la bellezza. Di nuovo, più forte di me, un senso di pace, di perfezione, di consolazione, mentre i problemi (che sia chiaro, esistono e ci riguardano tutti da vicino) si allontanavano.


In quel prezioso istante, ho messo a fuoco l'idea - che in realtà non mi ha mai abbandonato - che davvero questa crisi sia benedetta. Quando riesco a "centrarmi" e a stare con me, non riesco a tutti gli effetti a temere la difficoltà del momento, perchè mi vince la sensazione che si stia vivendo un tempo di passaggio estremamente importante affinché si costituiscano equilibri nuovi, con basi solide e non di argilla. La  società dei consumi ha scambiato l'essenza del benessere con un ammasso informe e mai sufficentemente appagante, di bisogni materiali che sfuggono al nostro controllo perché indipendenti dalle nostre capacità interiori e che ci spingono a desiderare ancora e sempre di più.  Non si può avere paura di lasciare andare una società che rende gli uomini schiavi di bisogni indotti ed effimeri, senza peraltro educarli a riconoscere nella ricchezza interiore, come nella bellezza del creato, la  vera essenza dell'essere. A ben pensarci, non poteva che essere così e possiamo ritenerci fortunati perchè siamo i pionieri di una nuova era, quella della consapevolezza. In questo senso io credo che sia una fortuna vivere in un contesto in cui la Natura sia così forte e presente nel quotidiano, perché è da essa che possiamo attingere forze, energie ed ispirazione per iniziare a immaginare il mondo che verrà, superata la crisi. Siamo stati bravi ad affollarci l'esistenza con bisogni di plastica e relazioni di cartone, adesso la sfida è vuotare gli armadi, smetterla di "tenere a tutti costi" e sviluppare una fiduciosa attitudine verso ciò che di nuovo sta già bussando alle nostre porte. Del resto, se  in questi anni ci hanno insegnato a "desiderare" (una macchina, un vestito, un viaggio, un marito) che etimologicamente parlando significa "smettere di guardare le stelle a scopo augurale", io spero vivamente che si possa tornare quanto prima a guardare insieme le stelle, augurandoci un futuro prospero e luminoso.

martedì 15 gennaio 2013

Ci vuol tempo e spazio e molta leggerezza per amare i social network


Oggi pensavo che ci vuol tempo e spazio, per sentire, per capire, per lasciare andare ma lasciare anche entrare. Insomma, ci vuole una buona dose di leggerezza e una disposizione d'animo aperta, curiosa, per amare i social network e continuare a guardare alla propria quotidianità con occhi sempre nuovi e in questo, lo ammetto, l'isola d'Elba aiuta.
Complice la bellissima giornata, ho deciso di percorrere un sentiero che da tempo avrei voluto fare e ho scoperto angoli di raro fascino e quiete, insenature selvagge, tratti di costa dai colori cangianti e sempre tanto mare cristallino sotto a un girotondo di gabbiani curiosi.
Per me però la bellezza diventa tale e piena solo quando riesco a condividerla, a gioirne insieme alle persone vicine, a trasmettere loro quella vibrazione (l'emozione, appunto) che avverto davanti a un panorama, a un profumo, a un colore che invade rapidamente i miei occhi.


Ecco perchè amo i social network ed ecco come mi piace usarli: per "dividere" con altri una passeggiata, un sentiero, un panino in riva al mare, il profumo del sottobosco umido, tutta la fortuna che sento in cuor mio di avere a vivere in un posto baciato dalla bellezza di una Natura generosa, selvaggia e rigogliosa. Strano a dirsi, ma mentre cammino, mentre trattengo il fiato davanti a una scogliera, la mia emozione si fa ancora più intensa al pensiero che quello scorcio, quel colore di roccia, quello sbattere delle onde in quanlche modo arriveranno nelle case delle persone che viaggiano (non ditemi virtualmente, vi prego, ché il sentire è tutt'altro che virtuale e che diamine!) con me.


Questo è il facebook che vorrei. Un diario di bordo da sfogliare con gli amici, piuttosto che una vetrina di link e di tag che non mi appartengono. Uno spazio intimo, sebbene pubblico (perché l'intimità non è legata ai numeri, bensì al sentire) nel quale riversare bellezza, emozione, indignazione, riflessioni, giorni si, giorni no, momenti ni, leggerezza e qualche nuvola di passaggio.
Non vogliatemene se inarco il sopracciglio di fronte ad inviti che non hanno alcun legame con me, o a link che vedo pubblicare sulla mia timeline senza che sia io a sceglierli... perchè questo modo di comunicare non mi appartiene. Credo che ognuno abbia diritto a comunicarsi come meglio crede e so che chiedere che si commenti un post o che si pubblicizzi con amici una pagina, è una pratica legittima e forse diffusa, ma non è la mia. Io penso che la vera rivoluzione culturale che i social hanno portato, sia proprio la potenziale autenticità dei messaggi che si sceglie di condividere, frutto di soggettive emozioni che, in quanto tali, diventano potenti ambasciatrici di modi di essere e di stare al mondo, e difendo, con tutta me stessa, questo aspetto genuino. Quando condivido un pensiero, un'emozione o un racconto, sento gioia nel farlo e non credo che questa sia legata al numero di like che riceve. Credo cioè che il mio piacere sia un mio bene inalienabile, e che il percepire che è condiviso può rafforzarlo, darmi gioia, ma non può sostituirsi al motivo principale per cui comunico. Ogni post rappresenta per me un messaggio nella bottiglia, che lascio libero di viaggiare nella rete senza troppo pensare: mi abbandono al piacere di sentire e di poter condividere e con ciò conquisto un meraviglioso senso di leggerezza. Proprio vero: l'essenziale è invisibile agli occhi...


lunedì 7 gennaio 2013

Guardate un bambino: cosa lo inebria?

Scrivo da sempre.
No, beh, da quando ne ho memoria.

La scrittura è sempre  stata la mia migliore amica. Avete presente l'età in cui tutti i bambini hanno un amico immaginario? beh, io avevo il mio diario. Mi seguiva ovunque e quando non c'era, a sostituirlo trovavo un foglio, una penna a uno spazio silenzioso, per me.
Scrivere mi aiuta a fermare il tempo (ok, so già che mi direte che il tempo non esiste.... allora diciamo che ferma l'idea che di tempo abbiamo, ok?). Dunque, dicevo, che la scrittura è la mia migliore amica, mi aiuta a dipanare i piensieri che da sempre corrono veloci e che si perdono con tumulto e vivavicità nei meandri della mia immaginazione. Come tutti i viaggiatori che si spostino per mare (ovvio, vivo su un'isola!) ho bisogno di attraccare di tanto in tanto, di tirare l'ancora (e il respiro) e ascoltare e per farlo, scrivo.
Cosa scrivo? Di tutto, dalla lista della spesa (che puntualmente dimentico a casa e quindi, dico io, perché intestardirsi a farla!) alle cose che mi piacciono, dalle litigate con mia figlia, ai momenti più ameni di me e di lei, talvolta, passando per disquisizioni di dubbio valore filosofico quando cerco di interpretare i miei sogni (e quando mai ci becco, comunque,  per non perdermene neanche uno, ho preso l'abitudine di tenere un quaderno vicino al letto).
Ultimamente però m'è presa una fissa.
Mi sono cioè convinta che si finisca con l'attrarre ciò che si pensa e che quindi quanti più pensieri positivi nutriamo e alimentiamo in noi stessi, tanta più "abbondanza" troveremo lungo la via. Per tenere viva la fiamma dei buoni pensieri, mi diverto quindi a stilare un quotidiano elenco delle cose e/o delle persone/eventi per i quali essere grati o che semplicemente mi piacciono e mi fanno stare bene. La cosa sorprendente, è che ho capito che di motivi per i quali essere contenta io ne ho davvero molti e  che questi passano quotidianamente in sordina, sepolti dalle varie preoccupazioni lavorativo - familiari. Non solo: ho capito che siamo avari, che le nostre vite sono pervase da una sorta di stitichezza emotiva che mi ha stancata. Sono stufa (l'ho detto)  di perdere tempo, anestetizzandomi alla vita, rivestendo le mie affermazioni di quel cinismo che fa tanto chic e smart e magari cool (ci stava bene, dai), sedendomi in una qualunque sala d'aspetto della vita, in attesa che una presunta superfelicità formato famiglia, full optional e in superhd si presenti davanti a me. Ma quante vite devo vivere ancora per capire che è TUTTO QUI, che la perfezione ci circonda, che basta mettere il naso all'insù, tendere l'orecchio in mezzo a un prato, spogliarsi dei comportamenti di circostanza e frugare, instancabilmente cercare, quel quid di autentico, innato, semplice, non socialmente corrotto, che vive e palpita dentro di noi?
Le rare volte in cui riesco a fare silenzio dentro di me e a ricordare la mia fortuna, svaniscono i problemi, i pensieri, persino quell'orrenda inclinazione (inutile, per la verità) alla pre-occupazione e riesco, d'un tratto, a occuparmi, invece, di me e di chi amo. Il riconoscere la bellezza non significa rinunciare allo spirito critico che resta un ingrediente fondamentale per valutare e discernere ma che, se usato a dismisura, può diventare una lente deformante per interpretare la realtà .
In sostanza, non lo nego, io sono una grande amante della semplicità (che, state attenti, è complessità risolta e non fa rima con superficialità).
Maya o non Maya (a proposito, sia chiaro: carine tutte le battute che sono fiorite in materia ma ovviamente il cambiamento è in atto e come) io sento una crescente necessità di tornare alle origini, al significato delle cose (parole comprese: se ne abusa così spesso, che orrore!). E' come se percepissi che negli anni avessimo aggiunto sovrastrutture, falsi bisogni, etichette e istituzioni sociali di varia natura e genere alle nostre vite e ci fossimo allontanati dall'essenza delle cose. Guardate un bambino e fate caso a cosa lo inebria: una giornata di sole per uscire nel parco a esplorare il mondo, la carezza della madre, una parola gentile, un buon pasto, sonni confortevoli. E voi, di cosa avete bisogno per sentirvi appagati? e soprattutto, vi ricordate di esserne grati? Io troppo poco per la verità: è tempo che  cambi abitudini!